EUROPA
Al tempo stesso
in cui assistiamo allo sviluppo di una identità europea, in seguito
all'unione degli stati presenti in questo territorio, possiamo constatare
il delinearsi di una identità degli esclusi.
Questa realtà è costituita, a mio avviso, da due componenti:
* I popoli già esistenti nel territorio europeo.
* I popoli che si vanno configurando come conseguenza del fenomeno della
migrazione.
Faccio questo azzardato parallelismo tra entrambe le realtà,
tenendo bene in mente le differenze sostanziali rispetto al trattamento
riservato a ciascuna di esse da parte dello stato, che è comunque,
uno stato ospitante per entrambe. (Approfondirò in seguito questo
aspetto).
Sono, inoltre, consapevole della divergenza esistente negli obbiettivi
fra ambedue le realtà riguardo alla definizione della propria
identità nel contesto dello stato. Per i primi, cioè i
popoli già esistenti, l'aspirazione è quella di vedere
riconosciuta la loro identità, del tutto diversa da quella dello
stato in cui sono integrati.
Per quanto riguarda i popoli di nuova configurazione è sicuramente
prematuro parlare del flusso di persone migrante in termini di popolo,
per la relativa novità del fenomeno, ma anche perché la
loro presenza è molto limitata. Per queste persone l'esigenza
primaria è quella di essere integrate nello stato di accoglienza
in quanto cittadini di diritto.
Popoli o Nazioni?
La configurazione della maggior parte degli attuali stati, coinvolti
nel processo di unione europea, è caratterizzato dalla presenza
di popoli diversi che, per svariate ragioni politiche e storiche, sono
stati inclusi nella loro struttura.
Mi riferisco ai catalani, galiziani e baschi integrati nello stato spagnolo;
i bretoni, corsi e occitani in quello francese; i sardi e, sempre in
Italia ma in una posizione di confine, i valdostani, retiani e ladini
(i popoli conosciuti come retiano-romanici); i frisoni, oggi divisi
fra Paesi Bassi e Germania; irlandesi, scozzesi e gallesi nel Regno
Unito, ecc.
Bisogna tener presente che la nascita di questi popoli, oggi minoritari,
risale allo stesso periodo dei popoli che, per ragioni di carattere
storico, politico e militare sono diventati la maggioranza e, di seguito,
i fautori dello stato.
Nei popoli minori esiste, a differenza degli stati, una corrispondenza
tra cultura, lingua, storia ed il territorio che essi occupano all'interno
dello stato. Questa corrispondenza, che è uno dei principi fondanti
l'identità nazionale, non è sufficiente perché
sia riconosciuto a queste realtà minoritarie il diritto ad esistere
in modo indipendente.
La condizione di nazione non dipende dalla quantità di territorio
occupato o dal numero di persone che vi abitano, ma dalla condivisione
di una identità che, in quanto tale, è comune a tutti.
Nazioni mancate, dunque, -non hanno un governo indipendente- che non
sono contemplate nel progetto di unità europea. Non sono considerati
interlocutori validi dal costituendo stato unico europeo e non hanno,
di conseguenza, una rappresentanza diretta nelle nuove strutture democratiche
di tale contesto, se non attraverso lo stato in cui sono integrate.
La realtà di questi popoli varia in relazione al rapporto con
lo stato ospitante. Nella maggior parte di questi esiste già
da alcuni anni un processo di decentralizzazione che conferisce ai popoli
un nuovo status: da semplici regioni che erano, sono diventate "regioni
autonome". Un processo che non intacca l'unità territoriale
dello stato e che si arresta sul punto del passaggio ad una organicità
statale di tipo federale per rimanere fedele al modello di stato unico.
Infatti, pur essendo diventati regioni autonome, questi popoli sono
considerati dallo stato parte integrante del proprio territorio. (Una
scelta in senso federativo significherebbe il riconoscimento di questi
popoli come nazioni).
In alcuni casi la decentralizzazione in atto ha visto conferire dallo
stato centrale agli enti governanti, democraticamente eletti, queste
nuove regioni autonome il diritto ad usare in modo co-officiale la propria
lingua; la gestione diretta di una parte delle risorse economiche proprie
ed il trasferimento di alcune competenze, quali la sanità, l'ordine
pubblico e l'educazione.
Questo processo di decentramento non è uguale in tutti gli stati
della cosmogonia europea e, quindi, esistono anche sostanziali differenze
nel livello di autonomia raggiunta tra i diversi popoli implicati in
questo processo di rivendicazione.
Non entrerò qui in merito ad una valutazione sul metodo che ognuno
di questi popoli ha scelto per assecondare le proprie aspirazioni. Il
mio tentativo era quello di costatarne l'esistenza. Dirò soltanto
che così come esistono scelte di tipo violento, la maggior parte
di questi popoli ha scelto la via del dialogo politico. Sono convinto
che nei casi in cui la violenza - ETA ed IRA- ha preso il sopravvento,
la ragione è da attribuire all'incapacità di intavolare
un dialogo tra lo stato centrale ed i due popoli cui si riferiscono
le due organizzazioni citate. Fermo restando che non intendo giustificare
affatto la violenza come scelta, in nessun caso.
Considero legittime le aspirazioni di questi popoli all'autodeterminazione,
ma ancor prima all'accettazione ed al rispetto da parte della maggioranza.
Condizioni che non coincidono, a mio avviso, con lo stabilimento di
nuove frontiere. Non è lo stato politico ciò che è
agognato (anche se non posso escludere che sia così per tutti),
ma il raggiungimento di uno stato di diritto in cui sia possibile una
coesistenza basata sulla conoscenza, sul rispetto mutuo e sull'accettazione
dell'altro. Sarebbe così difficile?
Comunque, quando sembrava consolidarsi la scelta politica della decentralizzazione
statale, ecco configurarsi nell'orizzonte politico una centralizzazione
ad uno stadio superiore e all'interno del quale gli attuali stati diventeranno
le nuove regioni dell'Europa Unita.
Quale futuro, dunque per queste nazioni mancate?
Diventeranno delle "riserve" culturali?
I nuovi popoli
Nella categoria degli esclusi, oltre al crogiolo di nazioni mancate
presenti sul territorio europeo, si affianca oggi una seconda componente.
Essa è costituita dal flusso costante di persone provenienti
da stati geograficamente situati al di fuori del territorio europeo.
"Extraeuropei" appunto, con una cultura, una lingua ed una
spiritualità, quest'ultima solo per una parte dei nuovi arrivati,
diverse da quelle tradizionalmente presenti in Europa.
Diversità che arricchiscono il già variegato mosaico linguistico
e culturale del territorio europeo ed, allo stesso tempo, introducono
una quarta componente spirituale, cioè la religione musulmana,
nel panorama di religioni già esistenti: cattolica, protestante
ed ebraica.
Tenendo conto poi del numero di paesi coinvolti nel fenomeno della migrazione,
bisognerebbe più propriamente parlare di tanti popoli piuttosto
che di un unico popolo. Il loro obbiettivo primario però è
quello di essere integrati nella struttura statale in quanto cittadini
di diritto. Quindi di assumere come propria l'identità dello
stato.
A differenza delle rivendicazioni primarie, di natura esistenziale,
quali il lavoro, la casa, la sanità, ecc., le rivendicazioni
riguardo la propria identità collettiva differenziata dalla maggioranza
della popolazione dello stato, avvengono in modo indiretto. Passano,
cioè, attraverso il diritto ad esprimere la propria spiritualità.
Si tenga conto del ruolo della sfera spirituale nel tenere viva una
identità culturale collettiva, specialmente nelle situazioni
in cui non si hanno dei diritti di carattere storico sul territorio
o in quelle situazioni in cui una minoranza e in forte svantaggio rispetto
alla maggioranza.
La loro presenza è, infatti, limitata a piccole zone all'interno
del territorio dello stato: una strada, un quartiere, ecc. Questi spazi
diventano i loro nuovi territori, nei quali vi si esprime sia la lingua
sia la religione di origine. (Si pensi ai quartieri della periferia
parigina, dove la cultura del paese ospitante è pressoché
inesistente).
In questo modo si verifica, anche se in una proporzione ridotta, la
stessa corrispondenza che, nel caso dei popoli europei, definiva l'identità
nazionale. Se la condizione di nazione non è in rapporto alla
quantità del territorio che essa occupa o al numero di persone
che ci abitano, allo stesso modo, anche un piccolo gruppo può
ritrovare un senso di comunità, quindi di popolo, in un territorio
ridotto. Anche nel caso in cui l'abitare un determinato territorio non
ne significa il possesso. Uso il termine di possesso di un territorio
in relazione all'esistenza di una qualche forma legittima di governo.
In ogni caso, questo flusso è all'origine di un fenomeno che
in un futuro non lontano potrebbe diventare la costituzione di nuovi
popoli all'interno del territorio europeo. Penso, però, sarà
molto difficile si verifichi per loro il riconoscimento in quanto popolo,
ed in seguito, di una identità nazionale. La prospettiva con
cui gli stati europei guardano questi nuovi arrivi è quella di
vincolare la loro presenza ad una identità ed appartenenza extraterritoriale,
i paesi di origine appunto, piuttosto che considerare loro parte integrante
dello stato, prima, e del costituendo ambito europeo dopo. Abitano di
fatto un territorio del quale non possono sentirsene parte. La realtà
ci dimostra che sono esclusi in partenza.
Non è un caso si definisca questa nuova popolazione con l'appellativo
di "extracomunitari", come a precludere una qualunque possibilità
di integrazione nell'ambito comunitario.
In realtà i migranti sarebbero da considerarsi fra i primi, tra
gli europei, perché il loro arrivo non risponde al desiderio
di integrarsi in uno stato europeo in particolare, ma nel nuovo contesto
globale europeo. Magari attirati dal miraggio o dal fascino che l'Europa
suscita nelle popolazioni di paesi in cui le condizioni di vita sono
di estremo disagio. Di resto, mi sembra legittima l'aspirazione a migliorare
le proprie condizioni di vita.
Che vogliamo ammetterlo o no, questa è una grande epopea del
nostro tempo. L'impresa da loro compiuta per raggiungere questo particolare
"nuovo mondo" non è tanto distante da altri fenomeni
migratori del passato, ancora oggi considerati dei miti. La realtà
però vuole che il territorio di arrivo non sia un territorio
vergine oppure non solo abitato da "selvaggi".
Quale futuro per questi popoli mancati?
L'Unione
Fino ad oggi il progetto di unione europea si è caratterizzato
dall'unione degli interessi economici, tralasciando quella coesione
culturale fondamentale per far crescere dal basso l'idea di unità.
Anziché poggiare su basi culturali, questa koinè degli
interessi, cala dall'alto verso il basso come una "imposizione"
conveniente.
Questa formulazione di fondo non incontra, certamente, le aspirazioni
dei popoli (nazioni mancate), ivi presenti, nei loro desideri di libertà
politica, ma soprattutto culturale.
Se è così per questi, quale potrà essere, dunque,
il ruolo dei futuri popoli frutto della migrazione?
L'idea di unità, che è un'idea forte, rischia di non raggiungere
una realizzazione piena proprio per la non comprensione delle diversità.
Sebbene sia possibile raggiungere l'unione politica degli stati, essa
dovrebbe, per diventare una realtà di fatto, corrispondersi con
la realtà del territorio che si vuole unito e che, come abbiamo
visto, è caratterizzato da un mosaico di culture e di lingue
variegate. La costituzione di una struttura sovrastatale a livello europeo
comporta il pericolo che questa ricchezza venga vanificata.
Quindi, la nuova Europa dovrà tener conto, per diventare una
struttura pluralistica, democratica ed in sintonia con la realtà
del territorio, anche degli esclusi, e non unicamente degli stati riconosciuti.
Il rischio della esclusione dei popoli minori è quello di originare
una realtà parallela all'interno del contesto statale europeo.
Ciò darebbe luogo ad una convivenza senza che ci sia un vero
contatto fra la realtà statale e quelle minori. Vedi un caso
fra tutti: gli Stati Uniti. Uno stato nel quale non esistono formalmente
differenze di alcun genere. La realtà è però che
la sognata terra della libertà ha ancora oggi un colore dominante.
Fino a quando è sostenibile una convivenza la cui caratteristica
sia la sopportazione dell'abitare un medesimo territorio, ma senza una
vera condivisione? Penso ora alla realtà dei paesi Balcanici
dove una situazione assai simile a quella descritta si è rivelata,
con una facilità estrema, un terreno fertile al dilagare dell'odio
razziale, etnico e religioso. Una città come Sarajevo, una volta
modello di convivenza, è diventata lo scenario tangibile di ciò
che l'Europa ha il dovere, ma anche l'esigenza, di evitare al proprio
futuro.
Non è questo il modello che, credo, ci si dovrebbe aspettare
da una possibile unità europea. Il vero "stato di diritto"
è quello in grado di garantire e di comprendere sullo stesso
piano tutte le diversità presenti, indipendentemente dalla quantità
numerica; da aspetti quali il colore della pelle; il credo religioso
o per addotte ragioni di nascita.
Senza questi presupposti le problematiche, le tensioni e le espressioni
di razzismo sarebbero all'ordine del giorno. Più di quanto non
lo siano già oggi.
Questo rischio e meno forte nel contesto europeo, rispetto agli altri
contesti citati, non perché gli europei siano immuni dal razzismo,
ma perché la presenza di nuovi arrivati sul territorio, quindi
la pressione sulla maggioranza, è minore. Infatti, è costante
il verificarsi di episodi di intolleranza e prepotenza nei confronti
della popolazione migrante. Atti isolati e compiuti da una minoranza,
ma con la silente complicità della maggioranza.
Un altro mondo è
possibile?
Il mondo?. È quello che abbiamo, quello che abbiamo sempre avuto.
È il modo di pensarlo e di viverlo che è possibile cambiare.
La piccola "globalizzazione" di portata europea è stata
superata dal fenomeno della globalizzazione a livello mondiale. Chi
ci impone questa ipotesi come fattibile a livello economico e, per quanto
sembra di capire dagli sviluppi attuali, anche militare, dovrebbe essere
altrettanto disponibile ad accettarla per quanto riguarda le persone.
In un mondo globale il concetto di identità coinciderebbe con
la totalità del pianeta. Che valore potrebbero avere allora concetti
come stato, nazione o popolo? Il territorio, non diventerebbe unico
per tutti?
Ecco che da una tale prospettiva le attuali strutture diventano obsolete,
non adatte, decadono. E con esso decade anche l'idea del possesso da
parte di un gruppo -etnico, religioso o quant'altro- su di un determinato
territorio e, quindi, anche la necessità di difenderlo. Se il
referente dello stato in una situazione di globalizzazione fosse il
pianeta, il fenomeno della migrazione cesserebbe di avere un significato
perché la mobilità ed il nomadismo volontario e/o indotto,
avverrebbe non da uno stato verso un altro, ma all'interno del pianeta-stato
unico nel quale, a ragion di logica, si dovrebbe parlare di specie umana
piuttosto che di razze.
Ipotesi idealistica e alquanto utopica, ma senz'altro migliore dell'assurda
situazione odierna: fondamentalismi al servizio della religione e/o
dell'economia in lotta fra loro, con risvolti sempre più esasperanti
e drammatici. Fondamentalismi, o integralismi di sorta, che credono
giustificabile il ricorso alla violenza e che lasciano alla sola forza
delle armi ogni possibilità di incontro.
Per definizione, il fondamentalismo stesso è sempre dalla parte
del giusto, quindi, incapace di una visione riflessiva di sé.
Questa è la sua debolezza. Non c'è nulla di più
patetico dell'arroganza di chi legittima la propria forza nel disprezzo
delle civiltà altrui. Una trappola che, a lunga scadenza, conduce
in modo inesorabile all'autodistruzione.
Il problema è un problema culturale, ma di bassa cultura. Quella
di chi, avvalendosi dal fatto di avere la pelle di un determinato colore
o di professare un certo credo religioso, si arroga il privilegio di
gestire a proprio vantaggio le risorse, comprese quelle umane, ed il
territorio, nel contesto dello stato oggi, come dell'intero pianeta
nell'ipotesi della globalizzazione.
Cultura di basso profilo anche di chi agendo in modo del tutto irrazionale
(si legga terrorismo) non fa che legittimare l'arroganza dell'altro
e contribuisce, a dare una veste di razionalità a delle risposte
che sono al di fuori di ogni giustificazione possibile. (Si legga guerra).
L'incontro
In seguito a queste
riflessioni, mi pare ovvio che per una convivenza in cui prevalga il
rispetto e la tolleranza bisognerebbe trovare un luogo comune, equidistante
a tutte le realtà presenti in un determinato contesto, locale,
nazionale, statale o globale che esso sia.
Un luogo comune in cui possa avvenire l'incontro.
Un luogo comune in qui prevalga il rispetto alla diversità.
Un luogo comune in cui sia possibile ribaltare il concetto stesso di
diversità: dal carattere preminentemente negativo ad un senso
di positività, per quanto esso possa significare crescita, ricchezza,
rinnovamento...
Un luogo comune in cui ci si conceda la possibilità di conoscersi,
di imparare a conoscere l'altro.
Un luogo comune neutro, il cui accesso risponda ad una consuetudine
radicata nel profondo ancestrale di ogni singola diversità/identità
culturale.
Quale luogo migliore del tavolo?
TAVOLÆUROPA
(europa's first
dinner)
Progetto per la
Costituzione di una Comune Identità
Il tema centrale
di questo operazione artistica è un percorso di riflessione sull'identità.
Vale a dire, la coscienza esatta della propria individualità
e personalità in relazione al contesto sociale nel quale viviamo
e che definisce sia l'identità individuale sia un identità
collettiva in quanto a popolo e/o nazione.
L'identità è una scelta individuale o dipende da fattori
relativi al contesto in cui si è nati, oppure in cui si vive?
Esiste l'identità nazionale? Se si, da cosa e determinata?
Quanto influisce l'arrivo di nuove persone in un determinato territorio
rispetto alla sua identità?
La modificano? Se si, come?
I nuovi arrivati, diventano parte integrante dell'identità collettiva
del luogo di accoglienza?
Oppure, la loro è un'identità che rimane vincolata ai
paesi di origine?
E ancora, cosa succederà con le identità minoritarie,
comprese all'interno di identità statali, e anche con queste
ultime nel futuro contesto di una Europa Unita?
Il contesto di questa indagine è quello del costituendo tessuto
sociale europeo. A tal fine si prevede di apparecchiare una serie di
tavoli in diverse città della geografia europea, coinvolgendo
sia le persone che vi sono nate sia le persone arrivate in seguito ai
movimenti migratori. Nel fare questo si tiene presente che i singoli
contesti scelti sono parte integrante di uno più ampio e complesso.
Lo scopo è quello di intavolare, appunto, una serie di incontri
fra le diverse componenti del particolare tessuto sociale di queste
realtà locali, in modo da acquisire, per quanto possibile, un
quadro della realtà dell'intero territorio.
Incontrarci per dare risposta alle domande di cui sopra, ma anche per
riflettere insieme su quali basi dotarci perché sia possibile
un futuro di convivenza a garanzia della piena espressione delle identità
collettive presenti in un medesimo territorio
Una Tavolæuropa apparecchiata per accogliere e non per escludere.
Una tavola dove sia possibile lo scambio, il dialogo, il confronto aperto
e franco nonché l'ascolto reciproco per fare luce sulle profonde
ragioni che avvallano ogni forma di diversità.
Una tavola che vorrebbe essere una riunione linguistica, culturale e
spirituale delle realtà presenti.
Visto che di tavola si parla, sono previsti anche degli incontri di
tipo gastronomico e nei quali ogni commensale proporrà una ricetta
del suo paese di origine da consumare insieme a tutti gli altri. Un
pasto comune che dovrebbe essere una riunione dei gusti, degli alimenti
e delle differenti abitudini alimentari.
Sono previste, fino ad ora, una tavola a Cesena, una a Berlino ed una
a Reus (CAT). In queste tre realtà le strutture coinvolte nel
progetto rappresentano ambiti significativi della struttura sociale:
* il Centro Famiglie a Cesena, da qualche anno impegnata nell'accoglienza
e nel sostegno delle persone migrate nel loro percorso di inserimento.
* Il centro culturale Ufa Fabrik a Berlino, dove sarà possibile
un approccio alla questione dell'identità dal punto di vista
culturale.
* Infine la sfera dell'educazione e della scuola, attraverso il coinvolgimento
degli studenti, quindi la futura popolazione europea, dell' "IES
Baix Camp" di Reus.
La modalità dell'incontro sarà dunque quella di riunirci
attorno ad un tavolo. Nello spirito con cui ci si riunisce attorno ad
esso per soddisfare un medesimo bisogno comune, cioè nutrirci.
Un tavolo che diventa il territorio comune a tutti e nel quale ad ognuno
e concesso di prendere in base alla propria "fame", ma anche
di contribuire al "nutrimento" degli altri.
La documentazione di questi incontri, video, fotografica ed audio, insieme
alle ricette costituirà il materiale di lavoro per la realizzazione
di una installazione nelle città coinvolte nel progetto.
Una prima cena,
se vi piace, per cominciare...
CESENA - BERLINO
- REUS, PRIMA CENA
Cesena
In questa città, il progetto verrà svolto attraverso una
serie di incontri a scadenza mensile, tra ottobre 2001 e aprile 2002,
nei quali poter affrontare le problematiche inerenti la realtà
dei migranti in questo nuovo contesto. Ma anche per creare uno scambio
attorno ai temi introdotti nelle riflessioni iniziali.
A conclusione del percorso, cioè in aprile 2002, si terranno
una mostra ed un convegno pubblici, in modo da coinvolgere maggiormente
la cittadinanza ed invitarla ad una riflessione collettiva su questi
temi, di capitale importanza per dotarci di un futuro nel quale la tolleranza
ed il rispetto mutuo diventino una realtà.
In questo contesto il progetto è stato accolto, oltre al Centro
per le Famiglie del Comune di Cesena, da: Centro di Cultura Islamico
ADI (Associazione Donne Internazionale)
Altra Medina
Associazione Nigeriana
MammAfrica
Berlino
A Berlino verrà dato l'avvio al progetto, tramite la mostra dell'immagine
fotografica TAVOLÆUROPA che ritrae un gruppo di persone migranti
sedute attorno ad un tavolo e che è stata realizzata a Cesena.
La mostra si terrà nel foyer del teatro del complesso culturale
ufaFabrik di questa città a partire dal 15 novembre 2001.
Nel contesto di Berlino è molto significativo il coinvolgimento
di questo centro di cultura internazionale, attivo sin dalla fine degli
anni settanta, per ospitare i progetto.
La scelta di questa città risponde al fatto che in essa vi è
in atto un interessantissimo processo di trasformazione che da citta-isola
che era, fino alla fine degli anni ottanta, si appresta a diventare
la città-capitale della Germania. Ma anche, forse, la futura
capitale Europea?
Un processo che, oltre alle modifiche strutturali del tessuto urbano,
a cominciare dalla sua fisionomia architettonica, modificherà
anche l'equilibrio raggiunto dalle diverse componenti del tessuto sociale,
unite dal principio "mantenere Berlino viva ". Questo principio
è stato in vigore durante i quasi trent'anni in cui la città
è rimasta accerchiata dal Muro all'interno del territorio della
allora Germania Est .
Il processo di ricostruzione in atto, teso a superare la gravosa eredità
del Muro, completa il percorso che dal dopoguerra conduce la città
divisa, e con essa il territorio della Germania, ad una condizione di
normalità, vale a dire, l'unione ritrovata.
Inoltre, questo processo avviene in modo parallelo, e non solo in senso
temporale, con il processo di ricostruzione europea teso al superamento
delle identità statali e che consenta il raggiungimento di una
normalità in una nuova condizione, per la prima volta in questo
caso, di unità territoriale.
Reus
La scelta di questa città apporta al progetto due aspetti importanti.
In primo luogo, trattandosi di una città catalana, riunisce su
di sé tutte le questioni poste in questo progetto, relative all'identità:
* In quanto appartenente ad un popolo, la Catalogna, che è una
delle nazioni mancate cui si fa riferimento in questo progetto. La riflessione,
dunque, si propone dalla prospettiva di una minoranza inclusa all'interno
di uno stato.
* All'interno del tessuto sociale di questa città c'è
una forte componente di nuova popolazione migrante, per lo più
originaria del Magreb, che delinea un nuovo contesto sociale in cui
convivono due spiritualità.
In secondo luogo, il mondo della scuola e dell'educazione. Il progetto
coinvolge, infatti, gli studenti che frequentano la scuola superiore
dell'IES Baix Camp. Quindi, la popolazione giovane, i futuri cittadini
della Nuova Europa Unita.
SULLA STRUTTURA
DEL PROGETTO
Per quanto riguarda
l'attuazione del progetto, è previsto un percorso di indagine
articolato in:
1. Una serie di
incontri a scadenza mensile che si svolgeranno tra ottobre 2001 e ottobre
2002 e nei quali si potrebbe:
* Acquisire le ragioni che spingono all'abbandono di un contesto di
origine per uno di nuovo.
* Affrontare insieme le difficoltà inerenti il modificarsi di
un determinato contesto sociale, come conseguenza della migrazione.
* Conoscere le problematiche relative all'inserimento in un nuovo contesto
sociale
* Incontrasi su un terreno comune per conoscere la realtà dell'altro
e riflettere sulla propria.
* Organizzare delle iniziative tese a creare un rapporto di convivenza
fra le parti: incontri di tipo gastronomico, feste, uscite sul territorio,
ecc.
2. Durante questo
percorso di incontri verrà realizzata una documentazione, che
costituirà il materiale per la realizzazione di una installazione
da esporre a conclusione dei percorsi compiuti in ciascuna delle tre
città, relativa a:
* Video-racconto che documentino le testimonianze personali.
* Fotografica. Si prevede la realizzazione di una serie di immagini
che possano rappresentare iconograficamente la nuova realtà europea.
* Audio, attraverso la registrazione delle lingue originarie parlate
dagli assistenti agli incontri. Attraverso il racconto di fiabe, canzoni,
ecc.
* Le ricette relative a piatti significativi delle culture di origine:
ricorrenze, celebrative, ecc.
3. Un convegno pubblico,
a conclusione del percorso.
4. Una festa conclusiva.
Anton roca
Cesena, settembre 2001