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Il riflesso dell' "altro"

Giancarlo Papi

Globalizzazione e massificazione generalizzata tendono oggi a trasformare il divenire delle arti in una sorta di conformismo linguistico laddove la cultura della molteplicità e le sue dinamiche multietniche potrebbero, davvero, sovvertire questa asfittica produzione di senso che tende a restringere le possibilità dell'individuo. Tenendo conto dei mutamenti sociali in corso tali che si può parlare di forme reali di transnazionalizzazione, uno degli effetti possibili dell'agire individuale nella nostra epoca è quello di meticciarsi all'altro conservando la propria identità, preservando il proprio respiro e la propria preziosa univocità.
Da sempre l'arte, considerata in tutte le sue possibili sfaccettature linguistiche, ci parla dell'identità. Da un lato lo fa sottendendo o esplicitando quella del suo autore, quindi mettendo in luce l'affondo nella dimensione individuale del concetto di identità; dall'altro lato comprendendo l'identità collettiva, nel momento in cui l'opera afferma la propria ragione storica, ossia lo spirito dell'epoca nella quale nasce.
Oggi più che mai, nella ricerca artistica, il complesso concetto dell'identità rappresenta una delle tematiche centrali, non leggibile a posteriori rispetto alla formulazione dell'opera, perché si identifica nella puntuale consapevolezza dell'artista. La sua stessa attività concettuale, progettuale e pragmatica, nella maggior parte dei casi si fonda proprio su tale aspetto, a partire da una ricerca in cui l'identità è concepita come un farsi destinato all'incontro con l'altro da sé e/con le più sottese sfaccettature del sé. Ciò che spesso rappresenta un vero e proprio paradigma entro il quale si sviluppa l'immaginario dell'artista.
E' in questo ambito che si rinnova la poetica di Anton Roca il cui pensiero teorico e la pratica artistica coincidono, nel senso che di fronte ai suoi lavori assistiamo alla realizzazione concreta delle idee nelle azioni, nelle opere, nel "comportamento". Il suo concetto ampliato di arte abbraccia non solo le tradizionali tecniche e discipline, quali la pittura, la scultura, ma comprende qualsiasi attività creativa nella sfera dell'esistenza umana. In un'epoca quale quella attuale, quindi, per Roca l'arte deve essere il risultato di un azzeramento, un bisogno sociale e civile e questa nuova arte deve avere coscienza delle radici storiche, senso del presente e guardare al futuro, trasformando l'esistente e la cultura "materiale" in codice poetico.
Nella ricerca più recente dell'artista, si accentua il concetto dell'opera come soglia, l'arte come passaggio per una sperimentazione più attenta sensibile, per una lettura che osservi problematiche e complessità per coglierne la ricchezza. Dunque, con coerenza e forza, la relazione fra arte e vita, arte e società, arte e politica, estetica e etica, continua a improntare l'opera di Roca che con l'uso dello specchio frantuma, divide, moltiplica e ricostruisce il reale.
Lo specchio è lo strumento che riconduce all'ambiguità dei meccanismi percettivi di cui l'arte si è fatta veicolo. Lo specchio è la dimensione che distrugge lo spazio, che mette a rischio il concetto stesso di realtà introducendo al regno inquietante dell'apparenza, dell'inganno. Così che la destra è la sinistra, l'alto il basso, il davanti il dietro, il sopra il sotto, il dentro il fuori, il qui il là, l'uno l'altro, il prima il dopo.
Lo specchio è un modesto strumento artigianale, ma di origine addirittura arcaica e qualcosa della sua natura magica, in Anton Roca, sembra riaffiorare continuamente. E' uno strumento semplice, allora, solo in apparenza, perché in effetti è labirintico come pochi altri. Capace prima di tutto di creare quel circolo vizioso, tautologico e paradossale di farci vedere mentre noi siamo occupati a vederci. Ciò che provoca lo specchio è una spartizione, lo sdoppiarsi, il duplicarsi, il trarre singolarmente dall'uno il due, da noi stessi il nostro riflesso, il nostro sosia, il nostro replicante. L' "altro", insomma.

 

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