tavoloITALIA
Ho progettato
tavoloITALIA
rispondendo
all’invito di Simonetta Lux e al desiderio espresso dalla Comunità di Sant’Egidio
che io prendessi parte ad un percorso creativo, col coinvolgimento delle molte
fasce dell’emarginazione sociale verso le quali
Ho voluto,
per prima cosa, essere introdotto nella realtà della Comunità di Sant’Egidio al
fine di conoscere la loro azione quotidiana ed i luoghi dove questa si svolge.
Ho intrapreso
il viaggio, alla volta di Roma, sotto l’egida di tale stimolante prospettiva e,
al tempo stesso, non senza un certo timore.
Con l’accogliente
guida di alcune persone che collaborano
gratuitamente con
Dalla
mano di ciascuno di loro: Cristina Cannelli, Paola Armandola, Luca Calligara,
Augusto D’Angelo e altri ancora, ho percorso le tappe di questo itinerario sotto
la pelle amabile e diafana, con cui identifico Roma, come fosse un viaggio iniziatico.
Ho conosciuto
così
A Trastevere
ho visitato la scuola Louis Massignon, in cui si impartisce in modo democratico
il diritto alla conoscenza della lingua italiana.
In seguito,
negli occhi di chi abita nel campo nomadi attrezzato di Salone, ho riscontrato
l’esasperazione di chi è costretto in una permanente condizione di attesa senza
avere alcuna colpa, ma che, malgrado tutto, conserva ancora la speranza .Cosa che li rende ancora più
sofferenti ai miei occhi.
Ho partecipato
alla distribuzione della cena del martedì,
nei dintorni della stazione Tiburtina, in cui la vera distribuzione riguarda l’amicizia
erogata da mani volenterose ai poveri senza tetto e agli stranieri.
Nel procedere
del viaggio, il mio stato d’animo era attirato ed intimorito da quel mondo sottostante
che veniva scoprendosi. Un sentimento del tutto simile a quello espresso dalla
fanciulla, raffigurata dal mio conterraneo Dalí in uno dei suoi quadri, mentre
solleva il velo dell’acqua in riva al mare…
Qualche
mese più tardi sono ritornato a Roma con la consapevolezza di aver visto una città
diversa, senza veli davanti agli occhi. Ero diverso anch’io, e con la chiarezza
di un’azione artistica da compiere, dopo l’interiorizzazione di quanto vissuto
in quel “particolare” viaggio.
Da parte
mia, vi era l’esigenza di creare un’opera d’arte come risultato della costituzione
di una piattaforma artistica, aperta alla partecipazione attiva e che agisse come
un territorio di accoglienza, per collocare
il lavoro da svolgere in una prospettiva di continuità e nella stessa logica dei
percorsi luogoComune, a cui avevo
cominciato a lavorare alla fine degli anni ’90 del secolo scorso.
Esigenza
che era anche la mia unica certezza.
Il divenire
progettuale doveva rimanere, per essere davvero “genuino”, e rischiare veramente
di giungere ad un qualche approdo, nella più totale delle incertezze.
La premessa
è stata quella di creare un gruppo di lavoro omogeneo, costituito da un numero
significativo di persone accomunate da ragioni diverse inerenti la loro individuale
condizione e da altrettanto diverse condizioni fisiche e mentali e dal fatto di
trovarsi tutte ai margini della società . Ovvero, il gruppo è andato via via configurandosi
con la partecipazione diretta di persone disabili (associate come Gli Amici),
bambini, anziani, giovani, rom, stranieri, emersi e carcerati.
A gruppo
formato, abbiamo proceduto verso l’apertura di una stagione costitutiva del processo/percorso
di lavoro tavoloITALIA.
Dare loro
la parola e prestare loro ascolto, i primi passi da me compiuti.
Negli
incontri personali, realizzati sotto forma di colloqui (intervista video registrata
con la collaborazione di Paolo Mancinelli), mi è stato affidato il loro racconto
esistenziale. Ho accolto, raccolto e scritto, in un diario dedicato a ciascuna
delle persone del gruppo, le pulsioni ed i desideri che li animano. Questa partecipazione
attiva è stato il nutrimento iniziale da cui siamo partiti per lo svolgimento
del progetto.
Per creare
le condizioni di fiducia reciproca è stato decisivo l’esercizio di accogliere
la loro condizione di diversità, di a-normalità, permanente o temporanea che fosse,
come la mia stessa condizione.
Mi sono
rapportato a ciascuna delle venti persone, tentando di far capire e di trasmettere
che la condizione di non adeguamento alla “norma” secondo i pregiudizi culturali
e sociali, era invece nell’arte, la normalità progettuale.
Il loro
essere diversi e la loro presunta a-normalità erano equivalenti alla mia.
Del resto,
se spostiamo il punto di osservazione dalla parte di ognuna delle persone che
si sono rapportate a me, nei diversi mesi in cui abbiamo lavorato insieme, ad
essere diverso e non conforme alla normalità ero io. In questo modo, sono diventato
ciascuno di loro.
Nuovamente,
io sono l’altro. (1)
A questo
punto del processo/percorso, quella piattaforma artistica iniziale è diventata
un territorio artistico ed umano: il territorio tavoloITALIA, appunto.
Raggiunta la consapevolezza della costituzione di questo nuovo territorio, abbiamo proceduto, attraverso
uno scambio ed un dialogo interpersonale basato sul racconto precedentemente video
registrato, alla definizione del contenuto da apporre sul territorio che
prenderà la forma di un dono personale.
Tale dono è stato il frutto di un processo condiviso in cui
è avvenuta una sintesi dei concetti emersi nel corso degli incontri.
La natura di tali concetti riguarda le riflessioni personali
sull’idea di sé in rapporto al concetto di appartenenza all’Italia e direttamente
derivanti dalle loro particolari esperienze di vita.
Individuati
questi concetti, ne abbiamo attuato insieme una sorta di traduzione formale ed
oggettuale: una forma, gesto o cosa, che ciascuna delle persone ha donato successivamente
al territorio.
In questo
modo, la diversità, la singola condizione personale è confluita nel territorio
per diventare parte costitutiva dell’opera finale.
L’atto
costitutivo finale del processo/percorso tavoloITALIA, compiuto a
dieci mesi dal suo inizio, è stato l’inclusione
di tutte le forme dell’esclusione sociale attraverso la presenza delle venti persone
che, insieme, hanno abitato temporaneamente
il territorio tavoloITALIA.
Ognuno
ha scelto un proprio luogo all’interno di questo territorio umano ed artistico.
Venti persone hanno interagito contemporaneamente per ricreare un intreccio di
relazioni e di rapporti interpersonali all’interno di un gesto corale dal valore
universale. Il gesto compiuto è l’Italia ma è anche il mondo, perché, al di là
della semplice rappresentazione, è diventato esistenza. È, allo stesso tempo,
presenza e testimonianza.
A rafforzamento
di questo senso di universalità, espressa dall’insieme complesso e articolato
che è l’opera tavoloITALIA, ho suggerito
per la posizione da assumere nel gesto di abitare il territorio, un collegamento
diretto con le testimonianze dell’arte in modo che la presenza di ognuna delle
venti persone rimandasse ad un’opera concreta dell’eredità artistica, italiana
ed europea. Questa scelta risponde ad una concezione circolare del tempo artistico,
dalla quale ne deriva l’inconsistenza di concetti come passato e futuro e all’interno
del quale tutte le opere prodotte dal genere umano sono contemporanee perché equidistanti
dal centro dell’arte.
Lo scatto
fotografico, eseguito da Antonello Idini, ha fermato quel gesto temporaneo all’interno
di questo tempo circolare.
Entrambi
gli elementi, il dono e l’abitare il territorio, confermano la volontà ed il desiderio
di giungere alla costituzione di un’opera d’arte partecipata, nella quale la responsabilità
autoriale, superato il confine dell’artista-autore, giunga ad una forma di corresponsabilità
o responsabilità allargata e condivisa. Mi viene in aiuto la profonda riflessione
critica compiuta da Joseph Beuys ne La scultura
sociale ma, nella quale è ancora l’artista Beuys il responsabile finale del
gesto artistico. Spero mi sia concesso il beneficio del tentare, magari sbagliando,
di portare la riflessione beuysiana verso una dimensione in cui possa considerare
me stesso e le venti persone che vi hanno partecipato in modo diretto, come co-autori
dell’opera tavoloITALIA.
Alcune
considerazioni sulla forma tavoloITALIA
A livello
formale, il territorio tavoloITALIA è composto
dall’assemblaggio di n. 20 tavoli in legno che sono stati recuperati dall’ambito
domestico e da luoghi di incontro pubblici (osterie). Ogni tavolo è diverso da
tutti gli altri relativamente alle misure ed all’essenza legnosa di cui sono fatti
ma, uguali agli altri in quanto tutti sono tavoli. Accomunati anche dal fatto che sono tavoli vecchi,
connotati da un proprio vissuto.
Così è
anche per le persone coinvolte nel progetto: ognuna è diversa, ma uguale a tutte
le altre, in quanto tutte sono persone. Tutte quante, portatrici di un vissuto
e di una esperienza personale.
20 tavoli
/ 20 persone, quante sono le regioni italiane.
I tavoli
si presentano formalmente raggruppati in un unico assemblaggio, tramite degli
ancoraggi predisposti a tal fine tra l’uno e l’altro. Questo assembramento di
tavoli, questa riunione, questo territorio umano ed artistico è passibile di un
unico movimento globale, all’unisono, grazie a delle sfere inserite sotto a ciascuna
delle 80 gambe che costituiscono l’insieme.
In questo
modo, il senso dell’unità è preservato, pur trattandosi di un assembramento dovuto
alle reali possibilità, dettate da un accurato studio previo, per accostare i
tavoli senza che vi rimanessero spazi vuoti fra di loro. Il risultato è una riUnione,
volutamente diversa, che non coincide con l’attuale organizzazione territoriale
italiana - regioni, province e comuni - e che si prefigge di evidenziare il mancato
senso di coesione, a livello sociale e conviviale, all’interno di questo territorio.
Un territorio che esclude tutto ciò che non si confà alla “norma”, vale a dire
il diverso, nel senso più largo del termine.
Sull’assembramento
dei tavoli è adagiata una sagoma in acciaio corten che riproduce il perimetro
della penisola italiana, comprese le isole maggiori e minori. Tale sagoma si presenta
sezionata in corrispondenza con i limiti perimetrali dei singoli tavoli su cui
incide e propone, di fatto, una divisione del senso unitario del simbolo cui la
sagoma riconduce.
L’arbitrarietà
dei tagli inflitti al senso dell’Unità italiana, che sono simbolici ma realmente
eseguiti sulla sagoma di acciaio Corten - scelta che considero come un ricorso
al paradossale -, vorrebbe testimoniare quella sensazione, largamente diffusa,
che l’Unità d’Italia non abbia ancora raggiunto il suo compimento.
La riunione
proposta in tavoloITALIA ambisce a differenziarsi anche
dalle tensioni divisorie esistenti oggi nel paese: per appartenenza si è stranieri
o italiani e, fra questi, si è ancora meridionali o settentrionali. Nel caso specifico
delle persone che hanno partecipato a questo progetto, l’elemento di tensione
è il parametro con cui la società stabilisce la normalità e crea le categorie
ed i recinti per definire e confinare la a-normalità. Considero queste tensioni
deleterie ai fini della corretta interpretazione del bene comune e del vivere
collettivo. Proprio perché evidenziano la differenza e non gli elementi di uguaglianza.
Il risultato
formale di quest’opera si propone quale una rinnovata Unione mentre, a livello
concettuale, esprime il tentativo di indicare una possibile via valida per la
corretta interpretazione e comprensione, intima e personale questa volta, dei
fatti storici e culturali che ci appartengono come collettivo. Sia che si tratti
dell’Unità d’Italia, sia che riguardi l’inclusione del diverso nella convivenza
quotidiana. Fattore quest’ultimo che contribuisce, come il primo, ad acquisire
il senso dell’Unità del Paese.
L’opera
tavoloITALIA sarà completata da una proiezione video,
realizzata a partire dei 20 ritratti fotografici che ho scattato ai co-autori
del progetto, e sui quali apparirà sotto la forma di testo, la sintesi del loro
dono.
Inoltre,
saranno installati due neon identici, collocati in una doppia situazione simmetrica
rispetto alla superficie del territorio tavoloITALIA, come traduzione grafico-emotiva di due viaggi. Sopra ai tavoli,
quello relativo al viaggio della deportazione e prigionia nei campi di sterminio
nazisti: i drammatici fatti relativi alla Shoah, oggi riconosciuti dalla storia.
Sotto, fra il bosco di gambe dei tavoli, quello relativo al viaggio della migrazione,
oggi reso illegale dall’attuale legge italiana. Entrambi i viaggi sono per me
come delle ferite aperte, da cui il segno rosso luminoso.
Il neon
posizionato sotto la superficie dei tavoli, intende anche riferirsi al viaggio
interiore e al dramma esistenziale di tutti gli esclusi che hanno partecipato
alla realizzazione dell’opera tavoloITALIA.
Infine,
intendo il processo/percorso tavoloITALIA , come un contributo
personale a sostegno del processo di emancipazione dell’individuo che è affine,
con le specifiche peculiarità di ognuna, a tutte le forme dell’esclusione sociale
presenti nel progetto e paragonabile all’emancipazione storica da cui è scaturita
l’Unità d’Italia.
Anton Roca
novembre 2011
1. Io sono
l’altro. La citazione fa riferimento alla dichiarazione conclusiva di un percorso
di ricerca compiuto nell’ultimo decennio del secolo scorso che è l’espressione
di una sintesi di linguaggio: “L’io artistico, acquista una valenza, per quanto
esso sia possibile, impersonale, neutra che va oltre la sfera del personale per
incontrare il collettivo: da egocentrico diventa egotopico”.
Ragione per cui ho affermato, riferito alle venti persone con cui abbiamo percorso
il territorio tavoloITALIA: “… sono diventato
ciascuno di loro. Nuovamente, io sono l’altro”.
L’intero
iter progettuale Io sono l’altro è contenuto
in luogoComune, catalogo alla mostra presso
Vedi anche:
Io sono l’altro in Das Erd Projekt.
Danilo Montanari Editore / Imaginaria, Ravenna, 1998.