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ROTONDA (O QUASI)

Albert Mayr

English below

 

A parte qualche lezioncina impartita da amici e, un po' controvoglia, da mio zio, ho imparato a guidare a Berlino, nel 1965. Avevo scelto una scuola-guida vicina all mia università che praticava anche degli sconti per poveri studenti. Un punto prediletto dal mio severissimo istruttore, dove mi portava quasi ogni volta, era la grande e trafficata rotonda dell' Ernst-Reuter-Platz;  allora, credo, una delle più importanti nella città. All'epoca le rotonde erano già di uso abbastanza comune in Germania, e già vigeva la regola, imitata con decenni di ritardo dagli altri paesi, che la precedenza doveva essere data assolutamente al traffico che si era già immesso nella rotonda. Ogni volta, quando in anni successivi mi capitava di passare per l'Ernst-Reuter-Platz, mi ricordavo dei patemi sofferti durante quelle lezioni di guida.

 

Le rotonde in fondo non mi piacciono. Sono sicuramente funzionali, e ho letto che hanno fatto diminuire di non poco gli incidenti negli (ex) incroci, molto bene, ma mi disturba quell'illusione, che a mio avviso dispendiano, che basti un po' di accorta ingegneria socio-urbanistica per indurre le persone ad un comportamento razionale.

 

Invece mi hanno sempre affascinato i semafori,  o meglio ho con loro un rapporto di amore-odio.  Ritengo più vicino alla realtà della vita la loro funzione di ricordarci inesorabilmente  le molteplici (e a volte un po' misteriose) eteronomie temporali a cui siamo soggetti. E poi trovo assai poetico un semaforo che alle 3 di una notte nebbiosa, con le strade deserte, continua imperterrito la sua sequenza di verde-giallo-rosso- verde-giallo-rosso-verde-giallo-rosso.....

 

Diversi anni fa feci un lavoro a Kassel basato, tra l'altro, sulle temporizzazioni riscontrabili nella città, tra cui, naturalmente, anche i semafori.  E così andai alla sede della polizia municipale per sapere qualche dettaglio sui criteri con cui erano regolati i semafori. Feci la conoscenza dell'ispettore (credo) Müller, un gioviale signore dal faccione rosso, che era ben lieto di sciorinarmi dati vari di cui naturalmente capii solo una piccola parte. (Kassel, a quanto pare, all'epoca era all'avanguardia nella semaforizzazione stradale.) D'altro canto l'ispettore Müller non capì assolutamente la mia timida domanda, se in qualche misura si tenesse conto anche degli aspetti psicologici, p.es. della possibilità che un'attesa troppo lunga aumentasse una certa aggressività. Tornato a Firenze mi procurai il libro "La semaforizzazione degli incroci stradali"; ed ecco un'altra scienza obsoleta.

 

Ma torniamo alle rotonde. L'unica a cui penso con simpatia è quella in cui ci si imbatte nella mia città d'origine, Bolzano, dopo aver attraversato il ponte sul Talvera verso piazza della Vittoria (si chiama ancora così, purtroppo).  Mi piace perché ha una storia variegata: da incrocio un po' caotico (non semaforizzato)  a soluzioni simil-rotonda, allo stato attuale, che è più o meno una rotonda, ma imperfetta, perché bus e ciclisti non devono fare tutto il giro ma possono tagliarla in mezzo. E ciò conferisce al tutto una certa leggerezza.

 

English

 

Quasi-Roundabout

A part from few lessons given by friends and, reluctantly, by my uncle, I learnt to drive in Berlin, in 1965. I chose a driving school nearby my university, which had discounts for poor students. My severe instructor's favourite place, where he took me nearly every time, was the big and busy Ernst-Reuter-Platz roundabout, at the time, I believe, one of the most important of the city. At that time, roundabouts were already quite common in Germany, and the rule, applied years later by other countries, to give way to vehicles that are in the roundabout, was already in force. Every time it happened to me to I pass by the Ernst-Reuter-Platz in the following years, I remembered the anxiety I suffered during my driving lessons.


In the end, I do not like roundabouts. Surely they are functional, and I have read that car accidents have diminished quite a lot in ex-crossroads .. very good .. but what annoys me is the illusion that some wary town-planning and social engineering is enough to induce people to behave rationally.


Instead, I have always been fascinated by traffic lights, or rather I have with them a love-hate relationship. I consider their function of inexorably reminding us the multiple temporal heteronomy which we are subject to more realistic. And then, I find it poetic that a traffic light at 3 am of a misty night with empty streets carries on undaunted its sequence of green-yellow-red- green-yellow-red- green-yellow-red-…


Several years ago, I made a work in Kassel based on the timings found in the city, among which, obviously, also the traffic lights. So I went to the police office to get information about how traffic lights were regulated. There I met police inspector (I believe) Müller, a hearty man with a red face, who was happy to dish out various data of which, of course, I could only understand a little part. (Seemingly, Kassel was at the time in the vanguard for the installation of traffic lights). On the other hand, inspector Müller did not understand my shy question at all, whether psychological aspects were taken into account, e.g. the possibility that a long wait could augment aggressiveness. Back in Florence, I got hold of the book "the installation of traffic lights"; here is another obsolete science.


But let's go back to roundabouts. The only one which I am fond of is to be found in my city of origin, Bolzano, after crossing the bridge on Talvera, towards piazza della Vittoria (unfortunately, it is still called like that). I like it because it has a multifaceted story: first busy crossroad (without traffic light) then quasi-roundabout, to the present state, of an imperfect roundabout where buses and cyclists do not have to go around it but can cut through. And this lends to it some lightness.

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