Contributo critico al
progetto luogoComune
La proliferazione di
culture che colora il nostro quotidiano delinea spesso prospettive
contrastanti. Se per certi versi la società contemporanea accoglie la
multiculturalità come carattere fondante, per altri se ne discosta, quasi ad
evitare la perdita di un’indentità preacquisita e strettamente legata ad
un’idea di territorio in quanto possesso.
La dicotomia stessa che
sembra plasmare i molteplici aspetti della quotidianità diviene qui oggetto di
riflessione, linea tematica per tracciare un percorso che si dirama su più
livelli fino ad esteriorizzarsi attraverso un atto artistico. Qui l’opera
d’arte si presta come luogo di
contaminazione, spazio aperto dove voci e sguardi differenti confluiscono, territorio
dove corpi e menti si incontrano, si scrutano e tentano di comprendersi.
Quando la parola si fa azione,
forma, spazio, ed il simbolico concretizzarsi dell’oggetto d’arte in territorio
concettuale prende atto, l’arte dilaga nel quotidiano strutturandolo ed
assumendo i tratti che lo connotano. Questo passaggio metaforico ridefinisce le
“cose” che normalmente ci circondano e ci sono familiari: un tavolo, un letto comunicano
un significato nuovo ed alternano una presenza fisica ad un’effimera esistenza
giocata sul motivo che gli viene attribuito.
Trasposizione simbolica
dell’intimità, il letto, più di ogni
altro, è luogo del singolo, dell’unicità dell’individuo, dimensione onirica
dove l’immaginario prolifica e l’inconscio si manifesta liberamente.
Ricondotto al’interno di prospettiva
estetizzante questo spazio chiuso si dilata: l’ambiente-letto diviene una sorta
di mise en abîme attraverso cui
rileggere e reinterpretare le dinamiche relazionali che si giocano tra la
dimensione intima e l’esterno.
L’entrata in scena di culture
“altre”, nel momento in cui induce uno slittamento dal territorio protetto
dell’Io alla sfera della “multiterritorialità”, evidenzia un disequilibrio, un
disagio talvolta. L’inibizione spesso connessa a tale passaggio dentro/fuori
apre una riflessione sul valore dell’individualità in relazione all’idea di identità territoriale.
Quando tale identità è dettata
unicamente dal senso di appartenenza ad un determinato luogo, l’enfatizzazione della
diversità culturale si traduce in una sensazione di “perdita”, di sradicamento.
È qui la stretta connessione ad un certo “dove” a prevalere sul valore della
singolarità: l’individuo scompare in una moltitudine indistinta in cui l’unica
connotazione è data dal “luogo di provenienza”, in quanto fattore
predeterminato, e non dal “luogo d’elezione”, inteso come spazio modellato
sulle scelte del singolo.
Nel tentativo di compensare questo
senso di smarrimento tendiamo a lasciare una ‘traccia’ del nostro passaggio,
una sorta di personalizzazione o personificazione che intende definire gli
spazi e plasmarli sulla base della nostra personalità.
L’accettazione di una contaminazione
culturale e l’inevitabile “dispersione” che ne consegue riconduce alla
relazione tra l’individuo nella sua intimità e nel confronto con l’esterno. Se
il “mio” letto riflette un carattere di unicità in quanto spazio privato, quando
viene riproposto come spazio esterno, territorio di relazione, identifica
molteplicità, luogo di incontro e di condivisione.
Ancora, il “mio” letto è il luogo
del ritorno, il rifugio dove trovare conforto, silenzio, riposo. Ma allo stesso
modo ricerco un senso di intimità anche in spazi che di fatto non mi
appartengono. Dormire nel ‘letto d’altri’ o in camere d’albergo significa
riprodurre una peculiare dimensione privata rispettivamente in un ambiente
estraneo o in quello che è il non-luogo per definizione.
Questo passaggio, se da un lato
satura lo spazio esterno della nostra presenza, dall’altro presuppone uno
scambio, una reciproca accettazione.
Attraverso il processo di
“estetizzazione” dell’oggetto-letto l’intimità intesa come chiusura, non
volontà d’interazione, dimensione individuale che esclude l’altro, si dissolve,
l’involucro protettivo si dischiude: l’arte nell’esporre il nostro universo privato
a sguardi esterni lo rende spazio aperto, condiviso, luogo comune.
Francesca Marti