LA COMUNITÀ CHE VIENE
Carlo Terrosi


La mostra "Luogo Comune" di Anton Roca sollecita una pluralità di spunti e riflessioni. In primo luogo, per la sua stessa natura, in quanto non è solo una mostra di opere: è un progetto più ampio, che diviene cornice di una molteplicità di eventi, di occasioni, nodo di una rete di relazioni e coinvolgimenti nella realtà sociale e culturale di cui il momento espositivo è parte, attraversato e coinvolto in una trama di scambi che lo arricchiscono e che ne precisano il senso.
Ne viene dunque una prima considerazione: la mostra, l'opera, in questa prospettiva e atteggiamento non sono qualcosa di chiuso e sufficiente a sé stesso, operazioni di sperimentazione formale condotte in un astratto laboratorio del linguaggio, riservate ad una comunità di addetti ai lavori; sono piuttosto strutture 'aperte', ad una interrogazione sull'attualità, ad un più ampio coinvolgimento sociale, nodi di un processo di costruzione di relazioni e partecipazione che è parte integrante del 'progetto' dell'opera.
Per mutuare dei riferimenti dalla linguistica, qui vince la prospettiva del "discorso" su quella del "codice": nel senso che l'operazione attraversa l'interrogazione sui codici artistici senza finalizzarsi a questo, ma volendosi calare in concrete pratiche sociali discorsive. Vuole essere reale occasione di dialogo, di discussione, di avvio di un discorso.
E questo discorso verte su di un tema (vedi anche la recente approvazione della Legge Bossi-Fini sull'immigrazione) oggi di estrema attualità: l'identità, quel "noi" che trova negli "altri" termine di confronto e di riferimento, secondo prospettive che possono essere di dialogo, di scambio, di crescita comune, ma che possono anche diventare invece steccati, muri di diffidenza e ostilità, fino a sfociare in pericolose derive tinte di nazionalismo e di razzismo.
La mostra di Anton Roca si interroga sul "costituendo tessuto sociale europeo", e quindi su di una identità che ha un suo contorno e retaggio e che pure è un processo aperto, in fieri, dovendo accogliere precedenti identità statali, ma anche identità nazionali e regionali che non sempre hanno coinciso con gli stati, ed il fenomeno della nuova immigrazione, dal sud come dall'est del mondo.
Come sarà dunque, per citare il titolo di un saggio che il filosofo Giorgio Agamben ha dedicato appunto al tema dell'identità, questa "Comunità che viene", quale sarà il portato di questo processo di trasformazioni?
In questo saggio Agamben svolge una considerazione interessante: "al falso dilemma che obbliga la conoscenza a scegliere tra l'ineffabilità dell'individuo e l'intelligibilità dell'universale" egli contrappone il valore della "singolarità", e cioè "l'essere tale che comunque importa".
E si chiede: "è pensabile che degli uomini facciano comunità senza rivendicare, per questo un'identità (l'essere italiano, rosso, musulmano, comunista)? Èpossibile cioè una comunità formata da singolarità che vogliono appropriarsi dell'appartenenza stessa e declinano, perciò, ogni identità e ogni condizione di appartenenza?"
Una comunità che fa perno sul valore delle singolarità più che su quello dell'identità: forse questo spunto estremo del filosofo può comunque porci qualche dubbio, aprirci qualche via. Come quelle che si sono aperte ad esempio in Francia all'inizio degli anni '80, quando cominciò ad affacciarsi alla ribalta il nazionalismo di Le Pen: e quando, in risposta a questo fenomeno, le prime associazioni antirazziste iniziarono a tematizzare l'idea di un "diritto di cittadinanza" universale, distinto quindi da un'appartenenza nazionale. Ogni individuo, questa la tesi, per il fatto stesso che abita in qualche parte, ha dei diritti inalienabili di cittadinanza: e questi non possono dipendere dall'appartenenza ad una identità nazionale.
Certo però questa idea di cittadinanza, per concretarsi, deve divenire politiche attive di inclusione sociale, politiche che creano e fanno crescere cittadinanza.
E deve pure declinarsi nella forma di un continuo dialogo, e crescita culturale: e forse in questo davvero anche l'arte contemporanea, che è sempre stata nel corso del '900, anche durante l'orrore di guerre generate dai nazionalismi, comunità di uomini liberi, che si incontravano e che creavano cultura al di là di tutti gli steccati e i muri dell'appartenenza nazionale, può dare uno dei suoi contributi più autentici.




indietro